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Ucraina-Russia: attacco imminente o bluff del Cremlino?

04 febbraio 2022

Ucraina-Russia: attacco imminente o bluff del Cremlino?

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La crisi Ucraina non è che l’ennesima declinazione di un conflitto che ormai da diversi anni rischia di sconvolgere gli equilibri geopolitici internazionali. Tutto è cominciato nel 1991, con il collasso dell’Urss e la successiva dichiarazione di indipendenza da parte delle Repubbliche sovietiche. Da allora, il territorio ucraino ha assunto una connotazione ben specifica: è diventato di fatto un prototipo di Stato cuscinetto, schiacciato dall’egemonia di due superpotenze. Da una parte gli occidentali, intenti a promuovere l’avanzamento della Nato verso Est. Dall’altra il Cremlino, sempre più convinto dell’importanza di Kiev per la salvaguardia della propria profondità strategica. Negli ultimi mesi, Vladimir Putin ha disposto lo schieramento dell’esercito lungo i confini dell’Ucraina. Oggi, sono circa centomila le unità russe, distribuite tra il versante meridionale, dove si trova la Crimea, quello orientale, nella regione filorussa del Donbass, e quello settentrionale della Bielorussia. Sebbene Putin abbia dichiarato più volte di non voler sconfinare nel territorio ucraino, questo dispiegamento militare sembrerebbe suggerire il contrario. Nel frattempo, gli Stati Uniti minacciano di imporre alla Russia pesanti sanzioni qualora la crisi sfociasse in un’invasione vera e propria.

Per cercare di allentare la tensione, il Segretario di Stato americano Antony Blinken il 21 gennaio ha incontrato a Ginevra il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Il colloquio, tuttavia, sembra non aver risolto minimamente la situazione. A questo punto, la questione è una sola: Putin si sta realmente preparando a invadere l’Ucraina, oppure si tratta di un bluff per sedersi a trattare con l’Occidente ed ottenere concessioni? «Io non sono convinto che arriveremo a una guerra – spiega il professor Gianluca Pastori, docente di Storia delle relazioni internazionali dell’Università Cattolica - perché le dinamiche che stiamo vedendo in queste settimane, anche se accentuate e spinte molto avanti, sono le stesse a cui abbiamo già assistito negli anni passati. Dal 2014 in avanti, quando la crisi ucraina è esplosa in modo evidente, abbiamo avuto in tante occasioni momenti come questi: la Russia che conduce esercitazioni o accumula truppe alla frontiera dell’Ucraina, la Nato, gli USA e l’Europa che rispondono attraverso un rafforzamento del loro dispositivo militare. In tutte queste occasioni non abbiamo mai visto lo scontro, non credo quindi che si arriverà proprio oggi; sicuramente in queste settimane abbiamo visto sia dal lato russo che da quello occidentale, una maggior volontà di spingere le cose avanti, mostrare i muscoli in modo molto chiaro».

Ma qual è il tema fondante che spinge la Russia ad essere così inflessibile sull’annessione nella Nato dell’Ucraina, e perché per gli Usa è così importante? «Sono tante questioni diverse e in buona parte collegate – ricorda il prof. Pastori - da un lato c’è una questione di sicurezza strategica; la Russia non vuole avere una presenza occidentale accanto alle proprie frontiere e questo è forse l’aspetto macro, quello più evidente. E, di conseguenza, c'è la volontà della Russia di avere intorno alle proprie frontiere una cintura di stati amici. Terzo aspetto: è un discorso di prestigio. La Russia sta cercando in Ucraina di riaffermare il proprio status di grande potenza. Mesi fa, è entrata nella crisi siriana non tanto perché fosse preoccupata dello Stato islamico, ma soprattutto per dimostrare che lo poteva fare, che era tornata ad essere una grande potenza, che poteva proiettare la sua influenza lontano, in un teatro di suo interesse. In Ucraina stiamo assistendo alla stessa dinamica. Dalla parte opposta, quella della Nato, ci sono ragionamenti simili: l’organizzazione ha sempre proclamato il principio della “porta aperta”, quindi la possibilità per qualunque Stato di entrare a far parte dell’alleanza. Dal 1995 nei suoi documenti afferma che nessuno Stato deve avere diritto di veto rispetto alla membership; quindi, la Nato sta anche in questo caso affermando un principio. È su questo che ci si scontra: su una questione che da un lato è geopolitica, dall’altro è soprattutto simbolica».

«Tornando agli Stati Uniti – prosegue Pastori - i consensi di Joe Biden stanno calando dal giorno dell’insediamento, cioè da più di un anno. E questo è un altro fattore che spiega soprattutto il perché gli americani all’interno della Nato siano così attivi nel contrapporsi alla politica russa. La difesa della causa ucraina è vista dall’amministrazione come un fattore che non dico possa rilanciare le sorti della Presidenza - sappiamo tutti che è la politica interna a guidarne i destini - ma mostrare risolutezza sulla questione potrebbe essere un modo per controbattere all’idea della presidenza debole».

Su un rapido epilogo della crisi, il professor Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola in Economia e Relazioni Internazionali dell’Ateneo, è scettico: «Non sono certo se si giungerà ad una soluzione a breve – prevede -  si dice che fino a quando ci saranno le Olimpiadi a Pechino, la Russia non farà altri passi in avanti. I cinesi, di fatto, non vogliono che ci si possa distrarre da un simile evento, e i russi, che già non hanno troppi amici al mondo, hanno preso nota. Passato questo periodo, secondo me, bisognerebbe trovare una strada, un sentiero alternativo che non vada alle calende greche, in modo che tutti possano dire di non aver perso. La situazione è pericolosissima».

Tra le tante ipotesi per risolvere la crisi è emersa anche quella di un’annessione del Donbass da parte della Russia ma questa soluzione, secondo il prof. Parsi «è molto difficile perché sarebbe un po’ un contentino. Nel momento in cui decidessero di annettere la regione come hanno fatto con la Crimea – spiega Parsi - verrebbe meno qualunque possibilità di fare pressione su Kiev. Nel momento in cui decidessero di annettere la regione come hanno fatto con la Crimea, verrebbe meno qualunque possibilità di fare pressione su Kiev. Con una differenza però. Mentre la Crimea era una regione russa, strategicamente rilevante per il controllo del Mar Nero, il Donbass è oggettivamente irrilevante. Non c’è un interesse russo a prendersi solo il Donbass, già di fatto lo controllano».

Un altro tema chiave è quello energetico. In questo momento, la pluralità del popolo ucraino è schierata contro la Russia, ma le cose forse potrebbe cambiare se il Cremlino decidesse di interrompere il passaggio di gas verso l’Europa: «La questione è estremamente complessa – spiega il professor Pastori - la Russia non può interrompere la fornitura in Ucraina poiché il gas che arriva è principalmente in transito e diretto verso il mercato occidentale. Detto questo, in una situazione di crisi potrebbe decidere di interrompere la fornitura all’Europa, ma dovrebbe sostenere dei costi estremamente pesanti dal momento che la sua economia è in gran parte sostenuta dall’ex ponte energetico. Usare l’arma energetica, per la Russia, sarebbe estremamente pericoloso.  L’effetto che potrebbe avere un inverno al freddo in Ucraina è altrettanto ambiguo: è vero il consenso a favore del governo potrebbe indebolirsi, così come il filo-occidentalismo dell’Ucraina, ma alla stessa maniera potrebbe accadere il contrario. Un Paese messo sotto pressione potrebbe anche compattarsi».

Un articolo di

Lorenzo Aprile

Scuola di Giornalismo

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