Tradizione campanaria

L’arte di fondere le campane: antica tradizione che tramanda i suoi segreti di generazione in generazione

L’anima armonica e musicale di Crema è raccontata dalle proprie tradizioni artigiane che si tramando di generazione in generazione e custodiscono i segreti del saper fare artigianale fino ai nostri giorni. L’arte e tradizione organaria convive con l’antica arte di fondere le campane.

Per dare risalto e celebrare questa antica arte che contraddistingue il territorio il Museo Civico di Crema e del Cremasco ha voluto allestire una sezione espositiva che raccoglie gli antichi ceppi delle e le ruote del campanile del Duomo.

Fare da contrappeso alle sette campane del Duomo, facilitando il loro movimento, secondo la tradizione propria della Chiesa ambrosiana e delle diocesi limitrofe in bassa Lombardia, attraverso l’azione su funi di canapa. A questo servivano i ceppi e le ruote qui esposti, donati dal Capitolo della Cattedrale (il collegio di sacerdoti anima la principale chiesa cremasca) al Museo Civico dopo la loro sostituzione con analoghi elementi metallici. Erano gli anni Settanta, e il rinnovo strutturale della cella campanaria portava con sé l’automazione dei sette bronzi. Basta campanaro: da quel momento, ogni “segno” sarebbe stato comandato da un impianto elettromeccanico. Si disperdeva così una tradizione iniziata nel 1753, anno in cui il cremasco Domenico Crespi fondeva il concerto del Duomo.

La Fonderia Allanconi: una tradizione che continua

L’antichissima arte di fondere campane si è tramandata per secoli di generazione in generazione e i segreti del mestiere vengono custoditi gelosamente. La storia della fonderia inizia con Angelo Allanconi, il capostipite della famiglia. Egli nasce a Bolzone il 2 dicembre 1915 e inizia il suo percorso di formazione nella storica fonderia Crespi di Crema, una delle più antiche e importanti fonderie italiane, le cui origini risalgono al 1498.
L’esperienza che Angelo fa nella fonderia lo porta a diventare capo operaio e a dirigere l’imponente lavoro di rifusione del primo dopoguerra.
Dai Crespi impara i segreti della tecnica della fusione di campane e, in particolare, l’arte del disegno, vale a dire le formule geometrico-matematiche che permettono di tracciare la sagoma della campana, donando a quest’ultima la forma e il suono caratteristici.
Terminata l’esperienza dai Crespi, Angelo collabora con altre importanti fonderie storiche (Barigozzi di Milano e Filippi di Chiari). Con sé, in queste fonderie, Angelo porta a lavorare anche i figli Ottavio e Giordano per apprendere il mestiere.

Negli anni Settanta del Novecento Angelo decide di ritornare a Bolzone e di iniziare a modellare campane in proprio: nasce così la sua fonderia. Nel paese natio avvia la sua attività che porterà avanti fino alla morte avvenuta nel 2002. Oggi la Fonderia Allanconi è l’unica a portare avanti la tradizione cremasca grazie a Emanuele, nipote di Angelo. Nonostante la disponibilità di moderne tecniche industriali, Allanconi ha scelto di proseguire nel segno della  tradizione per salvaguardare quei patrimoni di conoscenze tramandate di generazione in generazione e che, diversamente, andrebbero perduti per sempre. Ancora oggi si utilizzano procedimenti artigianali e materiali locali quali l’argilla, la canapa, la cera d’api, il crine di cavallo.
La vera maestria di un artigiano consiste nel lavorare con mani sapienti materiali poveri al fine di trasformarli in prodotti unici. La conoscenza e l’utilizzo di tecniche artigianali antiche permette l’utilizzo di materiali locali, naturali e riciclabili, nel rispetto delle tradizioni, delle persone e dell’ambiente nella consapevolezza che la qualità, l’unicità del suono e l’estetica di un manufatto artigianale non possono essere sostituiti da un prodotto industriale.
La Fonderia Allanconi però ha anche introdotto la tecnologia per il controllo della qualità e per poter controllare ogni minima sfumatura del suono e ottenere una qualità assoluta degli strumenti il cui suono arriva al cuore.

La famiglia Crespi

La famiglia di fonditori cremaschi è attiva fin dal XV secolo, con una campana del 1498 riportante il nome Crespi.
Membro illustre fu Domenico Crespi (1703-1765) fonditore di ottime campane, tra le quali quelle della Cattedrale di Crema, e costruttore di orologi. La sua attività lo portò a diversi spostamenti, tra gli ultimi in territorio veronese che frequentò dal 1754 al 1758. Negli scritti dello studioso cremasco Angelo Zavaglio si legge «dall’officina Crespi per circa un secolo e mezzo dal 1750 al 1898, anno in cui cessò, uscirono ammirati concerti che andarono a rallegrare borgate e villaggi del Cremonese, del Bergamasco, della Brianza e del Milanese…». Nell’Ottocento troviamo Giovanni a capo della fonderia che poi nell’ultimo decennio del secolo passerà ai figli Alcide e Calisto, mentre un altro figlio, Giacomo III, emigrò a Spalato (Croazia) aprendo una fonderia in società che portò il nome Crespi – Jakov Cukrov che proseguirà col figlio Sigismondo Giuseppe fino al 1928. Nel frattempo nella fonderia della città natale, situata presso Porta Ombriano ad Alcide Crespi successe il figlio Remigio Marco. Il figlio di Sigismondo Giuseppe, Giacomo IV, che tornato in Italia già aveva avviato una fonderia di ghisa a Milano nel 1933 e una di bronzo a Sanpierdarena (Genova) nel 1937, decise di riaprire la fonderia di campane a Spalato nel 1938 con il nome Fonderia di campane Giacomo Crespi.

Le fonderie D’Adda

Al termine della Prima Guerra Mondiale, Francesco D’Adda accolse in fonderia due dei suoi figli, Luigi e Dante, che lo coadiuvarono fino alla morte avvenuta nel 1927. I figli proseguirono l’attività del padre con la stessa capacità e abilità fusoria, mantenendo alta la qualità delle loro campane e divenendo tra i migliori fonditori italiani del ventennio. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, con l’avvento dei fondi statali per il ripristino delle campane requisite in guerra, i due fratelli si separarono, creando due fonderie distinte (1949). La fonderia di Dante D’Adda proseguì con le fusioni fino alla sua morte, avvenuta il 26 gennaio 1954, senza che il figlio Paolo continuasse l’attività del padre.
Luigi D’Adda, invece, chiuse la fonderia nel 1961 senza che nessuno proseguisse la sua attività.
Morì il 31 dicembre del 1963.