martedì 28 luglio 2020
Quando a settembre la nuova Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen presenterà la sua prima relazione sullo "stato dei diritti" nell'Unione (quella "rule of law" che ha contribuito ad arroventare la recente maratona negoziale di Bruxelles), un corposo capitolo andrà di sicuro dedicato al tema della libertà di stampa e alle minacce crescenti contro gli operatori dell'informazione. Un serio allarme in materia è risuonato nei giorni scorsi, quando ha cominciato a circolare un denso studio dell'Istituto universitario europeo, che a partire dal 2014 esamina la situazione del pluralismo nell'informazione del Vecchio continente.
In questi ultimi anni, le denunce di pressioni e minacce, accanto a sanguinosi attentati ai danni di giornalisti e ad alcune scelte legislative e di mercato in singoli Paesi, hanno destato crescente preoccupazione. Ed ora questa ricerca, di cui il sito Politico.eu ha diffuso un'anteprima, arriva a confermare un peggioramento del clima ai danni di un diritto garantito solennemente dall'articolo 11 della Carta fondamentale dell'Unione. Le conseguenze della pandemia virale tuttora in atto, inoltre, tendono a complicare ancor più il quadro, moltiplicando i fattori di rischio ai danni di una informazione corretta e al riparo da condizionamenti.
La ricerca messa a punto dall'Istituto operante presso la Badia Fiesolana (frutto di un'intuizione dei "padri fondatori" emersa già nella Conferenza di Messina del 1955) riassume i risultati di un progetto di monitoraggio, co-promosso dalla Ue, sullo stato del pluralismo nei mass media. Si basa su una piattaforma di 20 indicatori che verificano la situazione in quattro principali aree di analisi: protezione di base, pluralismo dei mercati, indipendenza politica e inclusione sociale. L'obiettivo non è di stilare una classifica, ma di sviluppare accurati indicatori di rischio per ciascun settore esaminato.
Emerge dunque che negli ultimi tre anni il quadro complessivo delle garanzie tende a peggiorare, anche se non in tutti i 30 Paesi messi sotto osservazione (oltre ai 27 membri Ue, la Gran Bretagna, l'Albania e la Turchia). Inoltre, in questa edizione 2020 dell' MPM (Media Pluralism Monitor, la sigla che definisce il rapporto), viene dedicato un ampio capitolo all'informazione digitale. E a parte l'area del pluralismo, che di per sé la rete Internet si presta meglio a garantire, gli altri indicatori di rischio ne risultano tutti influenzati negativamente. Anche in questo ambito poi, l'emergenza prodotta dal Covid-19 ha dato luogo a una vera "infodemia", parallela al diffondersi del virus, favorendo disinformazione, spesso di natura politica, disorientamento, restrizioni della libertà di espressione.
L'arco temporale della ricerca ha coinciso, tra l'altro, con il succedersi di fatti di cronaca inquietanti, che vengono espressamente richiamati nel testo: l'attentato mortale contro la giornalista maltese Dafne Caruana Galizia, l'assassinio del reporter slovacco Jàn Kuciak e della sua fidanzata, quello della bulgara Viktoria Marinova che è stata prima violentata, l'uccisione dell'irlandese Lyra McKee. Si ricordano inoltre il caso di Julian Assange (il fondatore di Wikileaks) e lo scandalo di Cambridge Analytica, oltre a fenomeni di concentrazione abnormi, come la nascita in Ungheria di un conglomerato di circa 500 testate, tutte facenti capo a un unico magnate molto legato al premier Orbán.
Per il giornalismo europeo insomma, in particolare per quello femminile, non tira una buona aria. Intimidazioni mafiose, pressioni politiche, spazi di libera espressione ridotti rappresentano una minaccia crescente ai danni di un settore vitale per la democrazia. Ma senza vera libertà di stampa non ci sarà neanche "next generation Eu".
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