31 ottobre 2019 - 23:40

Storia di Ursula, rapita nel bosco e morta (per errore) in una scatola

La bimba aveva 10 anni quando fu rapita e lasciata morire dentro un nascondiglio sotto terra: il suo caso sconvolse la Germania. Un uomo è stato condannato all’ergastolo. Ma il fratello della piccola non è convinto e chiede di riaprire le indagini

di Paolo Beltramin

Storia di Ursula, rapita nel bosco e morta (per errore) in una scatola
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La scatola di legno interrata, il luogo dove fui trovata la bambina e (foto piccola) Ursula Herrmann: rapita il 15 settembre del 1981 in un paesino della Germania

La bicicletta rossa di Ursula viene trovata già la prima notte, abbandonata nel bosco a venti metri dal sentiero principale. Quel martedì mattina, il 15 settembre 1981, l’ultima dei quattro figli degli Herrmann era uscita di casa contenta di rivedere i compagni di scuola dopo le vacanze. Il pomeriggio aveva fatto lezione di piano con il fratello maggiore, Michael, poi era andata a ginnastica e si era fermata a cena dal suo cuginetto. Alle 19.20 la mamma aveva telefonato a casa della zia: «Adesso però bisogna tornare».
Per fare il percorso tra i villaggi di Schondorf e Eching am Ammersee ci vuole meno di un quarto d’ora. A dieci anni, Ursula è già abituata a girare da sola, fuori c’è ancora luce e poi da queste parti non è mai successo nulla. Alle 20 la signora Herrmann telefona di nuovo. La bambina è partita da quasi mezz’ora, è chiaro da subito che è successo qualcosa. Inizia così, nel verde della Baviera, a 40 chilometri da Monaco e a meno di 150 dall’Italia, il più grande mistero criminale nella storia della Germania del Dopoguerra. Per come ha sconvolto il Paese, la sparizione di Ursula è stata paragonata a quelle di Maddie McCann e di Emanuela Orlandi. Dopo decenni di indagini, rivelazioni e false piste, in questo caso però la verità è emersa, almeno secondo il sistema giudiziario tedesco: il colpevole è stato condannato in via definitiva. Secondo il fratello della vittima Michael, invece, «oggi ci sono prove a sufficienza per concludere che in carcere è finito l’uomo sbagliato».

Un piano disastroso

La mattina di giovedì 17 settembre 1981, a 36 ore dalla scomparsa, a casa degli Herrmann squilla il telefono. Quando alzano la cornetta ascoltano uno strano messaggio registrato: un suono vibrante, poi qualche secondo di silenzio, infine lo stesso suono vibrante. La polizia, riascoltandolo in laboratorio, lo identificherà facilmente: è il jingle che apre il bollettino del traffico di una radio locale. Altre tre telefonate, nelle ore successive, ripropongono agli Herrmann la stessa registrazione apparentemente priva di senso.
La spiegazione di quei messaggi arriva la mattina successiva. Una lettera anonima, un collage di caratteri ritagliati dai giornali, annuncia in un tedesco confuso: «Abbiamo rapito vostra figlia, vogliamo due milioni di marchi di riscatto – corrispondenti più o meno a 600 mila euro di oggi, ndr –. Nelle prossime ore vi arriverà una telefonata, dovete solo rispondere sì o no dopo lo squillo». In base al piano, evidentemente, la lettera di istruzioni avrebbe dovuto essere recapitata prima delle telefonate. È solo uno dei tanti, goffi errori commessi dal regista di questo incubo. Chiunque esso sia, e anche se sarà capace di fuggire alla giustizia per decenni, è un autentico incapace. I coniugi Herrmann, peraltro, sono un obbiettivo assurdo per un’estorsione: lui fa il maestro elementare, lei è casalinga.

Werner Mazurek, l’uomo accusato del delitto e poi condannato all’ergastolo, in aula con il suo avvocato. All’epoca dei fatti aveva 31 anni (Dpa Picture Alliance/ Alamy ) Werner Mazurek, l’uomo accusato del delitto e poi condannato all’ergastolo, in aula con il suo avvocato. All’epoca dei fatti aveva 31 anni (Dpa Picture Alliance/ Alamy )

Il riscatto mai ritirato

Quello stesso pomeriggio il telefono squilla di nuovo. Dopo il segnale, la signora Hermmann risponde di sì.
Centinaia di poliziotti e volontari battono palmo a palmo la zona, ormai invasa dai camper delle televisioni. La seconda lettera arriva lunedì 21. Anche le condizioni per la consegna del riscatto sono bizzarre: il padre di Ursula dovrà portare il denaro, in un luogo che verrà indicato in seguito, a bordo di una Fiat 600 gialla, senza mai superare i 90 km all’ora. Gli Herrmann, grazie al sostegno dei vicini e del governatore del Länder bavarese, riescono a raccogliere i soldi. Non verranno mai più contattati.
Camminando tra gli alberi, ad appena un chilometro da dove era stata trovata la bicicletta, una mattina di inizio ottobre un agente sente qualcosa di strano sotto i piedi. Spazza via lo strato di foglie e tocca una superficie perfettamente liscia: il lato superiore di una scatola di legno. È larga 72 centimetri per 60, è profonda un metro e 40. Dentro ci sono sei bottiglie d’acqua ancora sigillate, biscotti e barrette di cioccolato Ritter Sport, romanzi e riviste per ragazzi – in una è pubblicata la pubblicità di una Fiat 600 gialla – un secchio vuoto e il corpo senza vita della piccola Ursula. Chi l’ha rapita pensava che sarebbe potuta sopravvivere lì dentro per dei giorni, e per questo aveva creato un sistema di areazione artigianale, che però non aveva funzionato: l’ossigeno si era esaurito nel giro di poche ore.

La ricostruzione della prigione-buca: conteneva cibo, acqua e giornalini preparati per Ursula. Il sistema di ventilazione non funzionava e la piccola morì in poche ore La ricostruzione della prigione-buca: conteneva cibo, acqua e giornalini preparati per Ursula. Il sistema di ventilazione non funzionava e la piccola morì in poche ore

La buca scavata per mille marchi

Nonostante centinaia di interrogatori e una scena del delitto piena di indizi, compresa un’impronta digitale isolata in un frammento di nastro adesivo, per settimane gli inquirenti non fanno passi avanti. Uno dei primi sospettati è Werner Mazurek, 31 anni, sposato con due figli, riparatore di televisori e pieno di debiti. Un suo conoscente, Klaus Pfaffinger, disoccupato con problemi di alcol, racconta alla polizia di aver scavato una buca nel bosco su richiesta di Werner, in cambio di mille marchi e uno schermo a colori; però non è in grado di indicare il luogo esatto e presto smentisce la confessione: si era inventato tutto perché messo sotto pressione. A fine gennaio 1982 Mazurek viene comunque arrestato. Ha un alibi: la sera del sequestro stava giocando a Risiko con la moglie e altri amici. Le sue impronte non coincidono con quella trovata all’interno della scatola. Contro di lui non c’è alcuna prova materiale, solo un possibile movente e la testimonianza ritrattata di un alcolizzato. Alla procura non resta che rilasciarlo.

Barbara Zipser, ricercatrice tedesca alla Royal Holloway University di Londra, specializzata in linguistica e filologia: ha collaborato alle indagini analizzando il messaggio del rapitore (copyright Emmett Sullivan) Barbara Zipser, ricercatrice tedesca alla Royal Holloway University di Londra, specializzata in linguistica e filologia: ha collaborato alle indagini analizzando il messaggio del rapitore (copyright Emmett Sullivan)

Il profilo perfetto del colpevole

Il mistero della bimba chiusa nella scatola continua per anni a occupare giornali, libri e programmi tv. Diventa una specie di ossessione nazionale. E con il passare del tempo quel maldestro, tragico sequestro si trasforma in un assurdo delitto perfetto. Fino a quando, nei primi anni Duemila, i magistrati decidono di tentare il tutto per tutto. Il cellulare di Mazurek, che si è trasferito con la famiglia nel nord della Germania, viene messo di nuovo sotto intercettazione: così viene sentito parlare con un amico dell’avvicinarsi della prescrizione. Sgradevole, violento, sempre in cerca di denaro, piccoli precedenti penali per truffa, secondo gli inquirenti è il profilo perfetto del colpevole; una notte, rientrato ubriaco dall’Oktoberfest, aveva perfino ucciso un cane richiudendolo nel congelatore.
Il test del dna è negativo: nelle decine di reperti non viene mai identificato il profilo genetico del sospettato. Pfaffinger, il suo accusatore di tanti anni prima, è morto da anni. Durante un’ispezione nell’appartamento di Mazurek, però, viene trovata quella che al processo diventerà la «prova regina»: un vecchio audioregistratore della Grundig, modello Tk 248. Dopo un’analisi lunga mesi, i tecnici della Procura non hanno dubbi: è stato proprio quello l’apparecchio usato per la richiesta di riscatto agli Herrmann. «L’ho comprato da poco in un mercato delle pulci», dichiara l’imputato, ma non è in grado di risalire al venditore. La giuria non gli crede: nel 2010 Mazurek viene condannato all’ergastolo; sua moglie è assolta per mancanza di prove.

Michael Herrmann, fratello di Ursula. All’epoca del rapimento aveva 18 anni: al processo si costituì parte civile a nome della famiglia (S.Puchner/Picture-All./Ap ) Michael Herrmann, fratello di Ursula. All’epoca del rapimento aveva 18 anni: al processo si costituì parte civile a nome della famiglia (S.Puchner/Picture-All./Ap )

Qualcosa non torna

Al processo, i genitori di Ursula hanno dato al figlio Michael l’incarico di costituirsi parte civile a nome della famiglia. Ormai anziani, ancora segnati dal dolore, i coniugi Herrmann hanno preferito restare lontani dal clamore. Quando sua sorella è stata uccisa, racconta oggi Michael a 7, lui aveva appena compiuto 18 anni: «A quell’età, non avevamo molti interessi in comune, ma era bellissimo suonare insieme. Non dimenticherò mai l’istante in cui i miei mi dettero la notizia della sua scomparsa, e le notti e i giorni di angoscia a cercarla nel bosco…».
Insegnante di musica, padre di quattro figli, Michael in aula sedeva accanto alla pubblica accusa. Udienza dopo udienza, ha cominciato ad avere dei dubbi. L’analisi del registratore? «L’ho trovata inaccurata, se non proprio di parte». L’imputato? «Non ero convinto che fosse innocente, ma nemmeno colpevole». Dopo il verdetto, ha scritto a Mazurek una lettera aperta: «Anche se ho molte riserve sulla tua persona, se non sei stato tu a uccidere mia sorella, mi auguro che emergano nuove prove e tu possa essere riabilitato. Se invece sei stato tu, va’ all’inferno».

Un filologa insistente

Martedì 3 aprile 2018 le università inglesi sono ancora chiuse per le vacanze di Pasqua. «Quel pomeriggio ero a casa e non avevo niente da fare», ricorda Barbara Zipser, ricercatrice tedesca alla Royal Holloway University di Londra specializzata in linguistica e filologia classica. Per caso, trova nel web la riproduzione delle lettere del rapitore di Ursula e si mette a studiarle. Presto fa un salto sulla sedia. «Quelle lettere avevano molto da dire sul loro autore, eppure nessuno in tanti anni aveva svolto un’analisi linguistica approfondita – ci spiega Zipser –. Erano state composte con il chiaro intento di sembrare l’opera di uno straniero, dalla sintassi incerta; eppure contenevano termini molto complessi, come “Zahlungsbereitschaft” (“disponibilità a pagare”) senza nemmeno un errore di ortografia. È evidente che una persona priva di istruzione superiore come Mazurek non aveva le competenze grammaticali per realizzare dei testi così complessi. In una delle lettere, inoltre, sono presenti dei neologismi e delle espressioni gergali che lasciano immaginare che l’autore possa essere più giovane. Magari uno studente delle superiori».

Il prossimo 24 novembre Ursula Herrmann avrebbe compiuto 49 anni Il prossimo 24 novembre Ursula Herrmann avrebbe compiuto 49 anni

Un gioco finito male

Nei mesi scorsi, Barbara e Michael hanno continuato a indagare. Hanno analizzato il colore di rivestimento della scatola, «un pigmento molto inusuale, un prototipo: siamo risaliti alla fabbrica dove è stato prodotto», e riconsiderato ogni dettaglio del caso. Ursula è stata trovata ad appena un chilometro dalla sede di un prestigioso collegio superiore, il Landheim Schondorf. Zipser non si arrende: «E se questa tragedia fosse il risultato di un gioco di adolescenti finito male? Ripensate ai dettagli, dai fumetti lasciati per far passare il tempo all’ostaggio, fino alle telefonate registrate per chiedere il riscatto: questo piano a me non sembra opera di una mente adulta». In fin dei conti, Barbara e Michael alla Procura chiedono solo un ultimo sforzo: perché non prendere le impronte di tutti gli studenti di allora per confrontarle con quella trovata nella scatola?

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