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Quella di Alfredo Cospito non è nonviolenza, ma non per questo non va ascoltata

La lotta politica di Alfredo Cospito è sempre stata violenta: ha gambizzato e pianificato stragi. Il suo insurrezionalismo anarchico prevedeva attacchi a persone e cose, non tutta l'anarchia è violenza, la sua e quella dei suoi compagni sì. Cospito è stato arrestato nel settembre del 2012, mentre stava preparando la sua fuga all'estero con Nicola Gai, per aver gambizzato, rivendicandolo, il dirigente dell'azienda energetica italiana Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi. Mentre in carcere è stato accusato dell'attentato del 2006 alla Scuola allievi carabinieri di Fossano, vicino a Torino, che, si legge dalle cronache, solo per un caso non provocò morti o feriti.

Da oltre 100 giorni Cospito è in sciopero della fame per protestare contro il suo carcere duro (41 bis) a cui è sottoposto nel penitenziario di Sassari. L’articolo 41 bis, introdotto nell’ordinamento penitenziario nel 1986, dopo la strage di Capaci del 1992 che uccise tra gli altri Giovanni Falcone, fu prima ampliato con un secondo comma disposto nel giugno 1992 e infine ulteriormente “rafforzato” 10 anni dopo arrivando a prevedere che “Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del ministro dell'Interno, il ministro di Grazia e Giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell'articolo 4- bis, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza”.  L'obiettivo del legislatore era quello di impedire il passaggio di ordini e comunicazioni tra i criminali in carcere e le loro organizzazioni sul territorio. Il 41 bis è stato imposto a Cospito per questi motivi. Nel 2014 Cospito è stato condannato a 10 anni e otto mesi di reclusione per il reato del 2012 che combinato con quello del 2006 gli fa rischiare l'ergastolo.

Oltre 100 giorni senza cibo hanno debilitato Cospito talmente tanto che settimana scorsa sarebbe caduto mentre stava andando a farsi la doccia rompendosi il naso e perdendo molto sangue. Anche per la drammaticità delle sue condizioni di salute, la Corte di Cassazione ha anticipato al 7 marzo l'udienza prevista per il 20 aprile contro il suo carcere duro. 

A riprova delle sue convinzioni ideologiche in tutti questi anni Cospito non si è mai pentito. Questo suo lento suicidio è in piena linea con il suo uso della violenza per fare politica. Violenza che in questi giorni ha caratterizzato manifestazioni e azioni di suoi presunti compagni anarco-insurrezionalisti che lui non ha fomentato né, però, criticato. Lasciarsi morire usando gli strumenti della nonviolenza ne nega l'ispirazione e gli obiettivi però, nello strumentalizzarla per fini "personali" per certi versi la nobilita ulteriormente riconoscendone - implicitamente - la sua praticabilità dovunque per chiunque.

La nonviolenza politica, quella di Gandhi, Martin Luther King e Marco Pannella, non è fine a se stessa o praticata per singolarità o interessi minoritari, ha obiettivi di riforme di libertà e diritti universali, a volte ha connotazioni spirituali se non propriamente religiose, è una lotta che ricerca simpatia e vuole provocare empatia popolare perché si interessa anche di chi, per vari motivi, è disinteressato al proprio presente e futuro. Tra gli elementi consustanziali della nonviolenza c'è la ricerca della verità - satyagraha - una verità che non è assoluta o metafisica ma piuttosto una realtà di fatti che nel 2023 prevede diritti, delle persone, e obblighi, degli stati. Diritti e obblighi da rispettare universalmente senza discriminazione alcuna indipendentemente dallo status e dalle condotte di chi viola la legge. Lasciarsi morire per denunciare i maltrattamenti rafforza la dialettica (o scontro) servo (cittadino) - padrone (Stato) e ha come obiettivo politico pubblico punire gli abusi di potere rafforzando le caratteristiche identitarie della vittimizzazione delle persone da parte del potere, pone al centro del dibattito una nuova coscienza antagonista ma non si preoccupa di riformare i motivi del conflitto.

Rendersi visibilmente debilitato nel fisico per denunciare i soprusi e le violazioni dei diritti umani è uno degli aspetti dello sciopero della fame. L'indebolimento personale rafforza leadership e accresce visibilità quindi anche responsabilità. L’esposizione all’occhio pubblico aumenta la notorietà individuale e quella della lotta, nel merito e nel metodo, creando nuove condizioni per l’esercizio di responsabilità che possono incitare chi viene raggiunto dalle informazioni su cosa viene fatto a copiare, rifiutare, interpretare e/o discutere le azioni in tutti i loro aspetti tattici e strategici.

Il metodo di quest'ultima iniziativa di Cospito è da rifiutare in toto proprio come le brutali gambizzazioni o le stragi, il merito in parte no. Il 41 bis è stato riconosciuto in violazione dei diritti umani, per le giurisdizioni internazinali la Repubblica italiana è pratica una sorta di “tortura democratica” - tra l'altro di dubbia efficacia per stroncare le organizzazioni criminali contro cui è stato creato e indurito.  Rivoluzionare un regime, a volte anche sovvertirlo, col ricorso alla violenza come prima istanza di lotta non potrà che portarsi dietro conseguenze uguali (e per certi versi non troppo) contrarie a quelle contro cui si lotta. Rivoluzionare un sistema che viola le proprie regole ne comporta in prima battuta il rispetto, non nel merito ma nel metodo: non deflettere dal neminem laedere che è alla base dello stare insieme tra esseri umani. Ed è qui che le strade di chi usa la violenza e chi la rifugge si incontrano. Si lotta NON per difendere chi è violento ma per affermare i suoi diritti e lo si fa proprio perché alla violenza omicida e vigliacca di pochi tanto lo Stato quanto la società civile non possono non rispondere in altro modo che non sia il pieno rispetto delle regole sempre e comunque. Non è una posizione di superiorità morale ma di pratica ideale e politica frutto di conquiste sociali, culturali e politiche - peraltro ancora in corso.

Si tratta di regole che spesso sono state anche frutto di conflitti violenti resisi necessari perché si creassero limiti all'uso della forza degli aggressori ma anche alla "legittima difesa". Le lotte politiche si rivolgono alle istituzioni, c'è chi ci si vuole sostituire, chi le vuole occupare e chi pretende che facciano il loro lavoro per come previsto dallo Stato di Diritto internazionale.

Paradossalmente, se Cospito dovesse portarsi a morire avrebbe vinto la sua lotta. Ma solo la sua, non quella per la riforma del 41 bis, il nome in codice per la violenza dello Stato italiano contro i suoi peggiori criminali tra cui Cospito stesso. 

Come se ne esce? La mobilitazione attorno a Cospito non è solo fatta di violenza: decine di persone hanno organizzato digiuni a staffetta, centinaia di personalità hanno firmato appelli al ministro della Giustizia, Radio Radicale ha ospitato maratone oratorie. L'accrescimento di conoscenza e consapevolezze è cosa buona e giusta ma, istituzionalmente, se ne potrà uscire solo se e quando dalle più alte magistrature dello Stato ci si accorgerà di essere in patente e continuata violazione dei diritti umani.

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