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Trattori: la narrazione comune sulla protesta degli agricoltori è miope!

E' sempre più evidente che le questioni sociale, ambientale e animale viaggiano a braccetto.

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lunedì 12 febbraio 2024

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#zootecnia
Area foodAnimali negli allevamenti

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Transizione alimentare: unica via possibile per salvaguardare tutti, inclusi gli agricoltori.

Maurizio Senigagliesi, coordinatore del gruppo di manifestanti fermi sulla Nomentana in attesa dell’autorizzazione dalla Questura a manifestare a Roma, alla nostra telecamera parla di ideologismo verde troppo estremista e sostiene che l’agricoltura italiana non è ancora pronta per una sfida: “prima di poter affrontare una sfida del genere dobbiamo arrivarci per gradi e avere la cognizione che noi agricoltori non abbiamo ancora neanche gli strumenti per fare quello che ci chiedono”. 

Nonostante la mole di aiuti, il 40% del bilancio comunitario europeo, il settore agricolo si regge su un equilibrio precario. L’assenza di una chiara via alternativa determina incertezza e reticenza alle domande di innovazione e cambiamento che gli agricoltori si trovano ad affrontare, e intensifica la richiesta di proseguire quelle stesse politiche che condannano i produttori agricoli, loro malgrado, in un rapporto inevitabilmente malato con la terra.

Il secondo manifestante che ha parlato alle nostre telecamere, Francesco Pala, ha un allevamento di chianine allo stato brado e critica l’imposizione di mantenere costi bassi, per restare competitivi con la carne che viene dall’estero: dice espressamente “noi non riusciamo assolutamente a mantenere gli stessi costi di produzione, ma non li vogliamo nemmeno mantenere. Nel senso, noi vogliamo fare un prodotto di qualità di nicchia, perché dobbiamo considerare che si mangia anche noi e la salute è al primo posto”. Pala continua dicendo “l’Europa può dirci di andare nella direzione della riduzione dei capi per allevamento, ma stravolgere tutto dall’oggi al domani no”.

Il punto cruciale è proprio qui, muoversi nella direzione di una completa trasformazione del sistema di produzione alimentare non vuol dire delocalizzare la produzione dove costa meno e importare poi prodotti a prezzi stracciati, penalizzando gli agricoltori locali. Vuol dire prendere atto della necessità di riorientare la produzione nel suo complesso, in Italia e in Europa, ed esigere che i prodotti che arrivano da fuori siano conformi. Solo così potrà davvero esserci una tutela duratura del nostro sistema alimentare.

Oggi, il settore zootecnico non riesce ad essere sostenibile neanche economicamente se non con i copiosi sussidi europei, eppure è comunque in sofferenza.

La produzione a basso costo comporta carne a prezzi bassi e guadagni altrettanto bassi per i produttori ed enormi costi ambientali e sanitari. Questo perché non sono conteggiate le esternalità, ovvero costi indiretti che ricadono sulle tasche di tutti e che, in Italia, ammontano a circa 37 miliardi di euro ogni anno.

Ma parliamo di oggi: sono oltre due settimane che l’Italia ha superato la soglia “sopportabile” di polveri sottili nell’aria e guardando la mappa le maggiori concertazioni di particolato collimano con le aree maggiormente zootecniche del paese. Del resto, lo dice l’ISPRA, oltre il 90% dell’ammoniaca prodotta nel Paese arriva dal settore agricolo, in primis per la produzione di deiezioni dagli stabilimenti zootecnici.

LA SOLUZIONE DEVE ESSERE POLITICA

La soluzione c’è e deve essere politica: gli strumenti di supporto finanziario devono supportare il settore nella transizione verso produzioni meno impattanti, con l’obiettivo di tutelare gli elementi senza i quali l’agricoltura non potrà mai e mai più guadagnare: un suolo fertile, la diversità genetica, la disponibilità di acqua.

Un’altra falla enorme del sistema sono i ristori che a pioggia arrivano per tamponare emergenze sanitarie cicliche come la PSA o l’influenza aviaria (che ogni anno si ripresenta ed è un grave rischio anche per la salute umana, essendo una zoonosi) senza che questo implichi in alcun modo un cambiamento del settore, che opera in condizioni di costante emergenza. Dove sono invece i fondi, per esempio, per il supporto alla dismissione di tutte le gabbie in Europa, provvedimento cruciale per liberare oltre 300 milioni di animali ancora imprigionati nelle gabbie e simbolo estremo del totale distacco della produzione dalla terra?

Gli agricoltori in primis, si rendono conto che il cambiamento deve partire da una volontà politica che li supporti e chiedono risposte al Ministro Lollobrigida, che in Europa si è atteggiato a paladino della produzione agricola italiana, ma nei fatti non ha alcuna soluzione concreta per aiutare il settore e il Paese ad avanzare verso un futuro sicuro, ed esulta invece per il ritiro della proposta della Commissione UE di dimezzamento dell’uso di pesticidi, ignaro o forse noncurante delle conseguenze catastrofiche per il settore agricolo nel futuro prossimo.

Proprio grazie all’informazione fuorviante anche cavalcata dal Ministro, la percezione diffusa è che l’allevamento intensivo non sia presente in Itali , benché rappresenti oltre il 90% delle filiere zootecniche nazionali. Questa percezione, unita all’“odio” per la carne coltivata, strumento che la scienza già da oggi avremmo a disposizione per una transizione verde, sono il risultato di politiche ideologiche e populiste, che sfruttano il legittimo malcontento dei piccoli produttori, alimentandolo con fake news, senza però dare risposte concrete al settore.

Unire le persone contro un nemico – immaginario – è da sempre una delle tecnichette con cui si prova ad arraffare consensi, peccato che sia una strategia di breve corso, che non beneficia nessuno.

La carne coltivata è l’esempio perfetto di questa manovra: gli agricoltori informati tramite volantini, slogan e dichiarazioni del Ministro infondate, temono il possibile sviluppo della carne “sintetica” - come sono stati condizionati a chiamarla – perché è stato fatto loro intendere che una filiera di questo tipo minaccerà le loro produzioni. Quello che non gli viene mostrato, e quando proposto additato come “ideologia green estremista”, è il fatto che la possibile introduzione di carne coltivata nel mercato europeo mirerà a sostituire progressivamente le produzioni intensive: quelle più violente per gli animali e gravose per l’ambiente, mettendosi al fianco dei piccoli produttori, non contro di essi. In Olanda un modello virtuoso di collaborazione tra agricoltori/allevatori e produzione di carne coltivata già esiste, si chiama Respect Farms e beneficia tutti gli attori coinvolti nel processo, animali inclusi.

Inoltre, non si fa mai menzione delle difficoltà che i produttori agricoli di vegetali si trovano ad affrontare, decidendo di dare voce, strumentalizzando i timori, solo agli allevatori, dimenticandosi che chi si occupa di colture vegetali si trova ad avere a che fare con tasse ben diverse: esempio è l’iva sul latte vaccino al 4% e sulle bevande vegetali al 22%, considerandole “bene di lusso”.

Proprio perché l’agricoltura è strettamente collegata alla politica, che tanto sembra lontana, rinchiusa nei suoi palazzi romani o di Bruxelles, è utile ricordare questa frase di Jean Tirole, economista e premio nobel nel 2014, quando diceva “You want to protect workers; you don’t want to protect jobs”. Ovvero, da proteggere sono i lavoratori, non i posti di lavoro.

La lungimiranza della politica  dovrebbe stare proprio nel:

  • riconoscere le difficoltà degli agricoltori, proporre alternative concrete,
  • traghettare e supportare le attività del settore verso l’unico futuro possibile attraverso gli strumenti adeguati, finanziari e scientifici, che sono presenti e disponibili.

L’unico futuro possibile è un futuro dove

  • gli agricoltori saranno ancora centrali, ma il cambiamento climatico non decimerà i raccolti
  • il cibo che consumeremo sarà in larga o totale parte vegetale
  • e i prodotti di agricoltura cellulare saranno una quota importante dei prodotti animali presenti sul mercato.

La sofferenza e lo sfruttamento degli animali sono l’apice di un sistema che non funziona, che impatta tutta la nostra società.

Quegli animali portati in piazza in questi giorni sono alcuni di quei 630 milioni che ogni anno vengono macellati in Italia e vivono in condizioni di grave privazione.

TUTTO CIÒ VA CAMBIATO

Smettere di urlare slogan e traghettare il nostro sistema di produzione attraverso la transizione alimentare è l’unica via possibile per salvaguardare tutti noi, inclusi gli stessi agricoltori.