Ambiente

Le piante delle Alpi stanno migrando verso l’alto per sfuggire all’uomo e al caldo

Che le piante si spostino, in qualche modo migrando da un posto all’altro delle zone alpine, non è una novità: su Montagna ne abbiamo scritto a metà 2022 e prima ancora, nel giugno del 2019. Adesso, però, un nuovo studio dell’Università di Padova, pubblicato anche su Pnas, nota rivista scientifica degli USA (“Red-listed plants are contracting their elevational range faster than common plants in the European Alps”), permette di fare meglio luce su questo fenomeno e anche di capirne alcuni aspetti fondamentali. E abbastanza preoccupanti.

Colpa del caldo, ma pure dell’attività umana

I ricercatori, che fanno parte anche della Fondazione Museo Civico di Rovereto ed erano guidati dal professor Lorenzo Marini e dalla dottoressa Costanza Geppert, hanno preso in esame oltre 1400 specie, fra autoctone e aliene (non originarie della zona, cioè), osservandone il comportamento fra il 1990 e il 2019. Quel che è emerso, in estrema sintesi, è che nell’ultimo trentennio la maggioranza delle piante delle Alpi nord-orientali italiane si è spostata verso quote più alte, come risposta ai cambiamenti climatici e alla presenza dell’uomo e anche che le nicchie di sopravvivenza per le piante originarie delle Alpi si sono ridotte, mentre le specie aliene sembrano resistere meglio alle influenze esterne.

Perché succede? Banalmente, perché l’aumento delle temperature e la conseguente scomparsa del manto nevoso hanno un forte impatto anche sulle piante che crescono nelle Alpi, con il riscaldamento che le spinge a salire di quota per avere a disposizione ambienti adatti alla loro sopravvivenza. Anche noi abbiamo le nostre colpe, però: l’attività dell’uomo, più presente a valle, influisce sulla vita delle piante, che in qualche modo fanno come gli animali e cercano di scappare più in alto, o comunque distanti da noi.

Come detto, succede con alcune differenze fra le varie specie: le piante autoctone mostrano maggiore difficoltà di sopravvivenza rispetto a quelle che negli anni (di nuovo, a causa dell’introduzione da parte dell’uomo) hanno trovato spazio nelle Alpi pur essendo originarie di altre zone. Secondo quanto spiegato dai ricercatori, per le specie autoctone si assiste a una riduzione più pronunciata alle altitudini più basse, mentre le specie aliene hanno una maggiora facilità di adattamento alle temperature calde: questo dovrebbe spingere a estendere le politiche di conservazione della flora autoctona anche nelle aree a bassa quota, dove c’è generalmente una minore attenzione al problema. E anche una maggiore presenza di specie aliene.

Autoctone e aliene, una lotta senza vincitori

Un altro punto importante da capire è che questa risalita in cerca di temperature più miti non è repentina e ovviamente avviene con i tempi delle piante, che sono più lenti rispetto ai cambiamenti cui stiamo assistendo, con il concreto rischio che fra qualche anno finiremo per dire addio ad alcune specie. Anche qui, resta il problema della competizione fra piante aliene e autoctone, con le prime che sono molto veloci a crescere negli ambienti molto antropizzati e sottraggono risorse alle seconde.

Facciamo qualche esempio: il Bromus erectus (il forasacco), si è spostato a una velocità di circa 3 metri l’anno negli ultimi trent’anni, il Sorghum halepense (il sorgo) di circa 4 metri l’anno, mentre la Pulsatilla montana, che fa parte della famiglia dei ranuncoli, è una specie rara e autoctona, si è spostata di appena 50 metri in trent’anni.

Geppert, prima firmataria dello studio, ha ricordato che “in ecologia è raro poter esaminare dati con una buona risoluzione spaziale e temporale” e che invece “in questo studio abbiamo potuto analizzare i cambiamenti di distribuzione di più di un milione di record di 1479 specie alpine in un periodo di trent’anni: i valori sono stati registrati con rilievi floristici in campo dal team di botanici della Fondazione Museo Civico di Rovereto, che ha mappato le specie presenti nella provincia di Trento”.

Da parte sua, Marini ha fatto notare appunto che la rapida perdita delle aree di distribuzione specifica delle piante rare “si è verificata in zone in cui le attività umane e le pressioni ambientali sono elevate”, ribadendo che in condizioni di disturbo (fertilizzazione, costruzione di una casa, una strada, un parcheggio) le piante aliene sono molto veloci a crescere e sfruttare le risorse presenti, sottraendole a quelle autoctone. Che sono dunque quelle che rischiamo di perdere per prime.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close