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Le associazioni della filiera: "Serve un piano strategico per la transizione energetica"

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Le associazioni della filiera: "Serve un piano strategico per la transizione energetica"
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Il settore automobilistico italiano torna a chiedere alle istituzioni un confronto sul futuro dell’intero comparto, e in particolare a invocare un piano di lungo termine che accompagni il settore lungo la strada della transizione energetica. In particolare, l’associazione dei produttori Anfia, quella dei concessionari, Federauto, e quella delle Case estere, l'Unrae, hanno organizzato una conferenza stampa unitaria per sottolineare l’importanza, soprattutto alla luce delle conseguenze della pandemia del coronavirus, di dotare l’Italia di un "piano strategico per guidare il mercato verso l’elettrificazione dei veicoli e accelerare gli investimenti per le nuove tecnologie con particolare attenzione all’automazione, alla connettività, alla diffusione delle infrastrutture (pubbliche e domestiche), anche per l’idrogeno”. 

Le altre proposte. Le tre associazioni hanno, inoltre, chiesto di “rifinanziare con urgenza gli incentivi in esaurimento e rendere strutturale l’ecobonus fino al 2026”, di varare ulteriori agevolazioni per il ricambio del parco circolante dei veicoli destinati al trasporto merci e a quello collettivo di persone, oltre che di "avviare una complessiva riforma fiscale sul settore, in particolare, per le auto aziendali”, con l’auspicio anche di una "rimodulazione del bollo auto in chiave 'green'”. Le proposte, considerate necessarie per "imprimere una svolta decisiva per lo sviluppo della mobilità del nostro Paese in direzione della sostenibilità ambientale ed economica”, sono state precedute da una serie di considerazioni sull’andamento del mercato durante il 2020, e ancor di più sull'impulso decisivo che la domanda ha ricevuto dal varo dei sussidi alla rottamazione. 

Senza incentivi, un tracollo. L’anno scorso, infatti, le immatricolazioni di auto nuove sono scese del 27,9% a 1,38 milioni, con una perdita di 535 mila unità rispetto al 2019; tuttavia, senza gli incentivi i volumi persi sarebbero stati oltre 100 mila, con conseguenze ancor più drammatiche per una filiera che impiega 1,25 milioni di addetti, fattura 344 miliardi di euro, pari al 20% del Pil italiano, e genera un gettito fiscale di 76,3 miliardi. Le agevolazioni hanno fornito una spinta decisiva soprattutto alle attività produttive, con volumi scesi di solo il 15% rispetto al 2019, grazie alla ripresa determinata, nel secondo semestre dell’anno scorso, proprio dalle misure di sostegno introdotte all’inizio di agosto. Anche i concessionari ne hanno beneficiato, con una flessione del fatturato medio limitata al 25%: un calo che, senza incentivi, sarebbe stato più drammatico. Le maggiori perdite, però, le ha registrate lo Stato, visto il calo degli incassi da Iva di 1,8 miliardi e quello da altre imposte, come Ipt e bollo, per oltre 250 milioni. 

L’importanza degli incentivi. Le tre associazioni, per bocca dei presidenti Paolo Scudieri (Anfia), Adolfo De Stefani Cosentino (Federauto) e Michele Crisci (Unrae) hanno più volte sottolineato l’importanza degli incentivi nel fornire una spinta anche al rinnovo del parco circolante, come dimostrato dall’aumento delle produzioni italiane di elettriche e ibride leggere e plug-in: infatti, se nel 2019 queste contavano per lo 0,1% della produzione totale, l’anno scorso sono arrivate al 17,2% e quest’anno sono destinate ad arrivare al 37,5%. Il sostegno ha anche consentito alla sola filiera della componentistica di mantenere inalterato il proprio saldo commerciale con l’estero: per quanto in calo, questo dato si è attestato a 5,48 miliardi di euro, frutto di esportazioni per 18,7 miliardi (-15,3%) e di importazioni per 13,4 miliardi (-13,9%), a dimostrazione di quanto elevata sia l’esposizione delle aziende italiane ai mercati internazionali e il loro inserimento nelle catene del valore globale. Inoltre, gli incentivi hanno consentito al settore accelerare la transizione ecologica, come dimostrano vari dati forniti dalle tre associazioni: a febbraio, le ibride hanno superato il diesel come quota di mercato (29% contro 24,6%); le emissioni di CO2 sono passate, da marzo 2019 a dicembre 2020, da 143,6 grammi per chilometro a 123,1 secondo i valori Wltp e da 119,2 a 98,5 in base al ciclo Nedc; le rottamazioni sono cresciute, nel periodo agosto-dicembre 2020, del 15,8%, a 465.675, con un +67% per le Euro 4 e un +11% per le Euro 3, soprattutto (nel 90% dei casi) per acquistare veicoli nella fascia di emissioni tra 61 e 110 g/km. A fronte di un incentivo, sono state rottamate 125 mila vetture vecchie e inquinanti, che hanno contribuito a un risparmio di oltre 61 mila tonnellate di CO2 all'anno. Infine, è aumentato il livello di sicurezza dei veicoli, con i sistemi di frenata automatica disponibili ormai su due terzi del nuovo immatricolato. 

Parco circolante vetusto. Questo non significa che sia stato risolto il grande problema del parco circolante, che rimane vetusto, insicuro e inquinante e tra i più vecchi d’Europa, con un’età media di 11,5 anni, contro gli otto del Regno Unito o i nove della Germania e della Francia. Inoltre, sulle strade italiane circolano ancora quasi 1,5 milioni di Euro 0, 2 milioni di Euro 1, oltre 3 milioni di Euro 2 e circa 4,75 milioni di Euro 3: in sostanza, su un totale di 38,5 milioni di veicoli in circolazione, ben 11,276 milioni sono ante Euro 4, il 29,3% del totale. Agli attuali ritmi, servirebbero ben 27 anni per sostituire l’intero parco e, di sicuro, non sarebbero sufficienti gli attuali incentivi, ormai prossimi all’esaurimento per alcune fasce di emissioni (al 23 marzo risultavano ancora disponibili 38,75 milioni di euro per i veicoli tra 61 e 110 g/km). Le misure attuali non sarebbero nemmeno sufficienti a ridurre il ritardo italiano nella promozione delle auto elettriche: un ritardo legato anche al gap infrastrutturale, visto che a dicembre, con 2,7 contro i 4,9 della media continentale, l’Italia risultava al sedicesimo posto nella classifica europea relativa ai punti di ricarica per 100 chilometri. 

Serve una task-force. In questo quadro, le tre associazioni chiedono misure per la filiera produttiva con un piano apposito che preveda la creazione di una “task force pubblico privata" per affrontare la transizione e sostenere gli investimenti verso nuove tecnologie (idrogeno, automazione e connettività) e che dia priorità alla semplificazione e al rafforzamento degli strumenti di politica industriale, ai programmi di riqualificazione delle competenze e agli interventi finanziari a sostegno delle imprese. Servono anche iniziative per la diffusione delle infrastrutture per la ricarica delle auto elettriche e delle tecnologie per il Vehicle-to-Grid; sono poi necessarie misure per la fiscalità, al fine di allineare le imposte sulle auto aziendali a quelle del resto d’Europa, e serve un supporto al mercato, rendendo magari strutturale, almeno fino al 2026, l’ecobonus. "La mobility revolution - ha sottolineato Scudieri - implica, per la nostra filiera, una transizione produttiva che richiede notevoli investimenti in nuove tecnologie: non solo elettrico, ma anche idrogeno, connettività, guida autonoma e digitalizzazione dei processi. Una sfida per cui le aziende necessitano del sostegno di interventi da attuare tramite il Recovery Plan per mantenerne alta la competitività e rendere l’Italia interessante per nuovi investitori”. "Da anni - ha aggiunto Crisci - le Case destinano importanti investimenti per progettare e costruire la nuova mobilità sostenibile. L’inattesa crisi globale ha ora chiamato in causa anche i governi, affinché facciano la loro parte per accelerare il raggiungimento degli obiettivi di uno sviluppo sostenibile che unisca crescita economica e rispetto dell’ambiente. Occorre una pianificazione politica per guidare, nel breve e nel lungo periodo, la transizione verso la mobilità ‘green’ compatibile con le esigenze economiche e sociali di un comparto da sempre trainante per l’economia del nostro Paese", ha concluso il presidente d Volvo Car Italia.  

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