È ufficiale, anche per l'Accademia le Ong non sono un “pull factor”

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Lo European University Institute pubblica uno studio scritto da due ricercatori italiani, Matteo Villa (dell'Ispi) ed Eugenio Cusumano (dell'Eiu) che dovrebbe mettere definitivamente la parola fine alla leggenda metropolitana delle Ong come pull factor dell'immigrazione (qui lo studio). Leggenda già smmentita dapprima da Frontex e poi dalle procure italiane che intorno a questa asserzione avevano iniziato indagini mai andate a buon fine. Ora anche dal punto di vista degli studi accademici speriamo che il capitolo si chiuda definitivamente.

Dallo studio , infatti, emerge che non ci sono evidenze empiriche che l'attività delle Ong nel Mediterraneo centrale tra il 2014 e oggi sia stata un "pull factor" - ovvero che abbia influito sulle partenze irregolari di migranti dalla Libia. Al contrario, i dati suggeriscono che le partenze dalla Libia non sono collegate alle attività di salvataggio in mare. Ciò, si augurano i ricercatori, dovrebbe aprire la strada a politiche migratorie pragmatiche, che puntino a salvare il maggior numero di persone in mare senza incentivare le partenze.

Anche se sono già uscite alcune pubblicazioni in merito, questo è il primo studio sistematico, basato sull’analisi di dati ufficiali dalle agenzie delle Nazioni unite ma anche dalle guardie costiere italiana e libica che vanno dal 2014 a ottobre 2019. Spiega MAtteo Villa: «Come ricercatori, ci siamo posti una domanda "neutra" e persino plausibile: se salvi di più, è possibile che ci sia un maggiore incentivo a partire. La narrazione del "pull factor" funziona perché a prima vista appare del tutto logica. Per questo era importante studiarla a fondo». Ebbene, in questi cinque anni, le navi umanitarie hanno soccorso complessivamente 115.000 migranti su 650.000, con una media del 18 per cento, la più parte nel 2016 e nel 2017 dopo la fine dell'operazione Mare Nostrum. Poi il codice di condotta voluto da Marco Minniti nell'estate 2017 e il decreto sicurezza di Matteo Salvini hanno condizionato pesantemente l'attività delle Ong.

l lavoro dei due ricercatori italiani smonta l'assunto secondo il quale più alto è il numero delle persone salvate, più alto è il numero di quelle che partono. Cusumano e Villa rovesciano l'approccio e dimostrano che il numero dei salvati dipende dal numero di coloro che partono. E a sostegno dell'analisi portano due dati: nel 2015, l'anno in cui le Ong dispiegano tutta la loro flotta in mare aumentando i loro soccorsi dallo 0,8 al 13 per cento, il numero complessivo delle partenze risulta in calo rispetto all'anno precedente. E ancora, nella seconda metà del 2017, nonostante le tante navi umanitarie presenti, il numero degli sbarchi crolla.

Ad avere un forte impatto sulle partenze sono stati piuttosto gli accordi tra Italia e Libia che hanno decisamente portato ad un abbattimento del numero delle imbarcazioni messe in mare. Nel 2019, “Anno interessantissimo e particolare”, ci dice Matteo Villa, “perchè sparite le navi militari italiane o europee, il peso dei soccorsi è rimasto solo sulla Guardia costiera libica o sulle navi umanitarie. Così abbiamo potuto analizzare il periodo giorno per giorno”. Ebbene, negli 85 giorni in cui erano presenti le Ong in zona Sar NON ci sono state più partenze rispetto ai 225 giorni in cui c'erano solo le motovedette libiche. E con tutta evidenza i giorni con più partenze sono stati quelli di bel tempo o ad aprile in coincidenza con gli attacchi del generale Haftar.

La guerra alle Ong, secondo i due studiosi, ha quindi contribuito solo ad aumentare il tasso di mortalità della rotta senza avere alcun effetto sulle partenze dei migranti. Da qui la conclusione dello studio che invita il governo a riconsiderare i provvedimenti anti Ong come anche il disimpegno delle navi militari che, se impiegate insieme alle navi umanitarie, potrebbero aiutare a salvare più vite e a controllare le tante imbarcazioni che raggiungono le coste italiane in autonomia.

Riccardo Bonacina da Vita.it

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