Le 8 cose che non sono riuscito a fare per rendere l'Italia digitale

Luca Attias si congeda dal suo ruolo di commissario straordinario per la trasformazione digitale, spiegando i progetti che non è riuscito a completare

Epic Fail (da Giphy)

Incipit: avevo scritto la quasi totalità di questo post nel mese d’agosto allorché non si sapeva affatto quale sarebbe stata l’evoluzione politica e governativa. La decisione di nominare un ministro per l’Innovazione e la successiva scelta di Paola Pisano mi hanno certamente indotto ad avere un maggiore entusiasmo e ottimismo ma molte delle considerazioni scritte allora restano ancora valide e per questo ho deciso di condividerle in questa sede.

Magari un giorno avremo un postoAnche nascosto oppur distante dalle tante astanterieIn cui riposano gli amori ormai in disusoQuelli non storici… di cui nessuno parlerà.

Chissà perché mentre mi appresto a terminare il mio mandato da Commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale mi viene in mente l’attacco di questa famosa canzone, Per dirti ciao!, di Tiziano Ferro.

Un po’ mi disturba l’immagine del mio nome aggiunto, con un esercizio ripetitivo, stanco e scontato alla lista dei Commissari che si sono occupati di digitale, ai direttori generali di Agid e di ciò che c’era prima (Aipa, Cnipa, DigitPa se la mente non mi inganna), alla lista dei digital champion, dei Ministri per l’innovazione o simili e dei tanti altri, a vario titolo, incaricati di rendere l’Italia digitale. Una lunga fila di nomi che, secondo alcuni giornalisti che si occupano distrattamente del digitale della Pubblica amministrazione un paio di volte l’anno, non sono riusciti nel loro scopo. Mi disturba, dicevo, ma sapevo già dal primo giorno che avrebbe fatto parte del gioco.

Ribadisco prima di tutto che, come ho già spiegato in un precedente articolo, pensare che una persona, qualsiasi ruolo abbia, possa rendere un Paese digitale è una cosa che non ha alcun senso neppure prendere in considerazione, figuriamoci analizzare a posteriori.

Poiché però, fa comunque parte del gioco, non sarò certo io a tirarmi indietro. Dopo un anno in un incarico così importante, di rito si fa un bilancio delle cose fatte, dei risultati raggiunti, si cerca anche un po' di pompare la realtà con un elenco di risultati fantastici, includendo anche un po' di contributo alla pace e alla lotta alla fame nel mondo. Ho deciso invece, anche questa volta, di andare controcorrente e semplicemente di elencare alcune delle cose che non ho fatto, le cose che forse dovevo, qualche volta magari avrei potuto, ma sicuramente che avrei voluto portare almeno in parte a casa e che per motivi che voglio lasciare alla scelta dei lettori - mancanza di risorse, sfortuna, problemi politici, normativi, tecnologici, organizzativi, manageriali, culturali, mia incompetenza o lassismo, scelte sbagliate, sagittario sfigato nel 2019, colpe di altri, gli alieni, Pallotta - non sono riuscito a centrare.

Ciò dimostra che probabilmente non ho la stoffa del politico pur essendo a contatto con la politica oramai da diverso tempo, il che non è necessariamente né una cosa positiva né una cosa negativa, è semplicemente un fatto.

Ecco la mia lista a cui ciascun lettore e ciascun giornalista potrà sbizzarrirsi ad aggiungere altri elementi a proprio piacimento:

1.Anche se è presto per dirlo, sono abbastanza convinto di non essere riuscito a far scalare all’Italia molte posizioni nel Desi – l’indice europeo che misura il livello di attuazione dell’agenda digitale nei diversi Paesi dell’Unione - e, conseguentemente, non sono riuscito a far scalare all’Italia molte posizioni su Transparency International. Se la correlazione non vi è evidente, lanciate una ricerca sul web e vi renderete conto – come dico inascoltato da tempo – quanto forte i risultati del primo indice influenzino quelli del secondo: semplicemente meno il Paese è digitale, più il Paese è corrotto o almeno esposto a corruzione.

2.Non sono riuscito ancora a produrre risultati tangibili (concreti e quantificabili) nella razionalizzazione delle infrastrutture digitali: i data center – o sedicenti tali – delle amministrazioni restano troppi e spesso di infima qualità. Oggi, a differenza di ieri, si parla del problema nelle stanze della politica che conta con una consapevolezza diversa, ma il problema è ancora irrisolto.

3.Non sono riuscito a far convergere tutti su un modello più funzionale, sostenibile, gestibile e conseguentemente massivamente diffuso di identità digitale. È, credo, a tutti – o almeno ai più – ormai chiaro che l’identità digitale è il presupposto essenziale di ogni infrastruttura immateriale di cittadinanza digitale ma occorre prendere atto che quanto fatto sin qui non è abbastanza per dire che il nostro Paese ha un sistema pubblico di identità digitale (Spid) che funziona per davvero.

4.Non sono riuscito a sviluppare un adeguato livello di consapevolezza di massa sull’importanza del digitale nella scuola, nell’impresa, nelle università, nella società civile. Per tanti, troppi, educazione civica digitale, alfabetizzazione informatica, cultura della società dei bit, coding restano “aria fritta” o poco di più. In pochi hanno capito che la posizione che il Paese occuperà nella comunità internazionale nei prossimi anni dipenderà in larga misura proprio da quanto saremo riusciti o non riusciti a crescere in queste direzioni.

5.Ho oggettivamente portato a casa troppo poco per l’interoperabilità dei sistemi informativi della Pubblica amministrazione. Gelosie, cultura del possesso, spessore delle pareti dei silos verticali nei quali ciascuno, per decenni, ha rinchiuso i propri dati e servizi hanno potuto più di me.

6.Ahimè, avrei voluto fare molto di più anche sul domicilio digitale, darne uno a ogni cittadino o almeno a ogni cittadino che lo volesse non sarebbe stato difficile, ci siamo andati davvero vicino, ma, per ragioni che confesso non sono del tutto chiare neppure a me, non ci siamo riusciti. E dire che se ce l’avessi fatta l’amministrazione sarebbe stata enormemente più efficiente e avrebbe risparmiato centinaia di milioni di euro all’anno tra carta e spese postali; senza pensare ai vantaggi ecologici e alla qualità della vita dei cittadini.

7.Non sono riuscito a eliminare la tensione presente in molte, troppe occasioni. Il senso insano di una incomprensibile competizione tra le varie strutture che si occupano di digitale, tra le varie amministrazioni, tra centro e territorio, tra le diverse lobby. Non sono riuscito spesso a far capire che se semplicemente facciamo le cose giuste, che si fanno in tutti i Paesi più avanzati, ci guadagniamo tutti e soprattutto consegniamo un Paese migliore alle future generazioni.

8.Non sono riuscito a far si che su questo tema la politica andasse tutta verso una stessa direzione nell’interesse del Paese... e questo è il mio cruccio maggiore.

Da cronico incontentabile, ad eccezione del punto 1 sul quale sinceramente non credo che neppure se avessi ingaggiato gli Avengers saremmo riusciti a fare un miracolo e su cui la percentuale di influenza del Team Digitale è molto più trascurabile di quanto si immagini, sugli altri punti sono decisamente critico con me stesso. Credo che chiunque prenderà in mano le redini del digitale pubblico dovrà in un modo o nell’altro occuparsi, almeno in parte, di questa lista.

Invece per tutto ciò che di buono qualcuno ritenga che il Team Digitale abbia fatto in questo anno voglio solamente ringraziare tutti coloro (e sono tantissimi!) che si sono prodigati con grande spirito di sacrificio per questo. E non parlo solo degli straordinari talenti che compongono il Team Digitale, a cui non finirò mai di essere grato, ma di tutti coloro che hanno fatto squadra e network con noi. Ho ereditato una squadra fantastica ed era praticamente impossibile far sì che non si raggiungessero risultati significativi sia dal punto di vista operativo che metodologico.

Come scriveva il compianto Mattia Torre in un pezzo fantastico in Italia è sempre colpa di un altro (recitato da un superlativo Valerio Mastrandrea lo si apprezza anche di più). Ora: anche se volessi scaricare le responsabilità su chi mi ha preceduto sarei in una posizione sfigatissima, anzi non potrei proprio farlo, perché chi mi ha preceduto è Diego Piacentini, che non solo mi ha scelto in prima persona (cosa che in questi ruoli non succede praticamente mai in Italia) ma che io per un anno ho descritto, raccogliendo un consenso quasi unanime, con dovizia di particolari, come uno dei più grandi manager del mondo, che aveva fatto un lavoro straordinario – tra l’altro “aggratis” – nel ruolo di commissario. Tanto che per me la continuità con il suo mandato era un mantra così sentito da farmi modificare geneticamente la locuzione “da digital by default” a “Diego by default”. Quindi se la percezione sul lavoro del Team Digitale nell’ultimo anno fosse per qualcuno, anche in minima parte, negativa, sappiate che la colpa è mia e solo mia.

Ma facciamo un patto tutti insieme dopo questo articolo e dopo esserci sfogati con il Malaussène di turno, cerchiamo di arrivare finalmente ad una “pax digitalis”. Ognuno si assuma la propria responsabilità e cerchi di collaborare, evitando inutili personalismi e competizioni, il più possibile con tutti gli altri attori coinvolti e non sprechiamo tempo a cercare di capire di chi fossero le colpe, erano e sono le mie, by default. Hai visto mai che questa cosa funzioni anche per le cose non digitali e che questo ci aiuti finalmente a lavorare per un futuro migliore, senza distinzioni tra quello analogico e quello digitale.

Chi ritenesse questo pezzo una incomprensibile operazione masochista o per chi semplicemente non ne avesse compreso la motivazione, il contenuto e l’eventuale utilità, non se ne faccia un cruccio: non è oggettivamente facile se non si sono vissute in prima persona le fasi precedenti del processo di trasformazione digitale della Pubblica amministrazione. Sono da sempre convinto che se si vogliono ottenere dei cambiamenti, soprattutto culturali, non esistono cammini facili e privi di rischi, bisogna esporsi in prima persona e percorrere strade nuove e poi – per citare Edoardo Bennato, come già in parte fatto nel titolo – tutto sommato “sono solo canzonette non mettetemi alle strette, sono solo canzonette”... ooops! Sono solo articoletti.